Vittorio Zatti - Gruppo Alpini di Spilimbergo "Ten. Vittorio Zatti" - Sezione ANA Pordenone

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Il Nostro Gruppo è intitolato
al Tenente Alpino Vittorio ZATTI
Medaglia d'Argento al Valor Militare (alla memoria)
Il Ten. Vittorio Zatti - caduto per la patria -
Articolo del Gazzettino 1943 di Mario Maria Passante

E' giunta notizia dell'eroica morte del camerata dott. Vittorio Zatti Tenente degli Alpini appartenente alla gloriosissima Divisione "Julia", Battaglione "Gemona", figlio dell'Avv. Cav. Luigi e fratello dello squadrista Bruno Zatti, ferito per la Rivoluzione, attualmente Ispettore federale cella nostra zona.La morte avvenuta il 20 gennaio scorso sul fronte russo ha suggellato nobilmente la giovane vita di questo degnissimo figlio della nostra città, che con il suo olocausto ha raggiunto un'altra gemma al serto (corona) delle sue glorie passate e recenti.

Nato a Spilimbergo il 17 settembre 1912, dopo aver percorsi gli studi classici passava all'Università laureandosi in legge trasferendosi poi a Venezia presso lo studio del'Avv. Virotta e successivamente presso quello dell'avv. Radaelli per continuare la professione del padre, professione che egli sentiva più come una missione da porre al servizio della giustizia che come mezzo per guadagnarsi il necessario all'esistenza.

Innamorato dell'arte, ne sentì tutto il fascino e fu con i poeti con gli scrittori, con gli artisti d'avanguardia, quale il suo temperamento, il suo istinto anticipatore lo portava non per posa ma per un prepotente desiderio del proprio spirito sensibile alle più ardite manifestazioni del pensiero.

Si era iscritto alla facoltà di filosofia, amatissimo com'era anche di questa eccellente disciplina e stava preparandosi per la laurea quando nell'aprile 1939 veniva mobilitato quale Sottotenente degli Alpini per partecipare con la Divisione "Julia" all'occupazione dell'Albania.

Educato nel culto della Patria, che fu ognora l'insegna indistruttibile della sua antica casata, ove la tradizione garibaldina del Risorgimento si riallacciò all'epopea della vigilia squadrista, durante la quale la sua dimora fu la sede ed il bivacco delle squadre d'azione e dove per opera di uno sparuto gruppo di credenti nel verbo del Duce, tra cui il fratello Bruno, ebbe origine il Fascio Spilimberghese di Combattimento e successivamente ad opera della madre il Fascio femminile, egli fu un fascista assoluto, intransigente, milite fedelissimo della Rivoluzione e di questa guerra destinata a portare oltre le insegne della civiltà del Littorio fu un araldo purissimo.

Far parte degli alpini, di questi meravigliosi soldati che ovunque chiamati hanno sempre fatto onore alle loro bandiere, di questi soldati che costituiscono l'orgoglio della nostra razza friulana, fu per lui il più alto onore e la più sentita fierezza.
Con i suoi alpini che egli non voleva fossero chiamati soldati ma "alpini" partecipava alla campagna di Grecia, in cui la "Julia" attinse il vertice dell'eroismo.

Il 7 marzo 1941 durante un furioso attacco nemico sulle tormentate pendici del Monte Golico rimaneva ferito alle gambe. Ristabilitosi, il febbraio 1942 prende parte alle operazioni contro i ribelli in Bosnia ed in Montenegro.
Sprezzante del pericolo, animatore e suscitatore di entusiasmi, primo tra i primi, stimato dai suoi superiori, idolatrato dai suo alpini, che lo consideravano come un fratello maggiore, insensibile ai disagi, alle privazioni, che con romana fierezza condivide con gli uomini a lui affidati, è un esempio mirabile di abnegazione e di prodezza. Rientrato dopo la lunga e perigliosa campagna in Italia, avendo saputo che stava per ricostituirsi il Battaglione "Gemona" con il quale aveva preso parte alla guerra sul fronte russo chiede ed ottiene dopo molteplici insistenze di potervi nuovamente entrare nei ferrei ranghi.

Per lui, alpino e fascista, erano un binomio indissolubile e quindi il poter combattere contro il comunismo russo non fu altro che un atto di rinnovata fede negli ideali della Rivoluzione fascista.
E così nell'agosto partiva ancora una volta con i suoi alpini incontro alla morte, che già più volte lo aveva sfiorato.

Dalla Russia scrive lettere di entusiasmo. Di non parla mai. Parla solo dei suoi alpini, dei quali descrive le imprese di ardimento, le continue prove di coraggio e in ogni suo scritto è affermata la certezza incrollabile della sconfitta del bolscevismo.

Il 20 gennaio la compagnia di cui ha il comando ha l'ordine di attaccare il nemico che minaccia l'accerchiamento. Al primo assalto rimane ferito da una pallottola di fucile alla mano destra. Rifiuta ogni soccorso e per altre due volte conduce vittoriosamente i suoi uomini contro i bolscevichi, finché una granata anticarro lo colpisce in pieno petto uccidendolo.

L'azione è riuscita ed il nemico si ritira sulle posizioni di partenza. Il suo cadavere è raccolto e la salma viene sepolta con gli onori militari dagli alpini della Compagnia che presentano le armi mentre nei loro volti ferrigni scendono copioso lacrime.
Una rozza croce con il nome è rimasta a segnare il punto ove egli è caduto, mentre il suo spirito eroico è asceso folgorando nelle costellazioni ideali della Patria.

Il suo volontario olocausto non sarà vano. Esso potenzia l'inesorabile fine del bolscevismo e la certa vittoria di Roma eterna.
Al padre, già benemerito podestà della nostra città, alla madre, al fratello, alle sorelle, ai congiunti tutti l'espressione commossa della nostra solidarietà.

Conferita la Medaglia d'Argento al Valor Militare con la seguente motivazione:
"Comandante di plotone fucilieri, si slanciava per primo alla testa dei propri uomini all'attacco di ben munita posizione avversaria. Con sereno sprezzo del pericolo e noncurante dell'intensa reazione delle mitragliatrici nemiche, guidava il proprio plotone all'assalto a bombe a mano finchè veniva colpito a morte. Nowo Postojalowka, fronte russo, 20 gennaio 1943."


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