L'abbraccio nell'isba

Quando eravamo sul fronte russo, la Julia si era assestata sul Don, dove avevamo costruito trincee e ripari per proteggerci dai due pericolosi nemici: l'esercito sovietico e l'inverno russo. Verso la fine del 1942 la divisione fu spostata da lì per arginare una falla che i russi avevano aperto nello schieramento italiano. Nella nuova sistemazione abbiamo dovuto operare in condizioni estreme, senza poter provvedere a costruire pur minimi rifugi. Non avendo potuto predisporre trincee e altri ripari dal freddo, ci insediammo nelle isbe del luogo, con l'ordine di allontanare i civili russi dalle loro abitazioni, anche per non coinvolgerli nei combattimenti.
L'isba che assegnarono a me e alla mia squadra era abitata da una giovane signora con due bellissimi bambini. Questa donna non volle saperne di andarsene, dicendo che voleva restare nella sua casa in attesa del marito, che altrimenti non l'avrebbe trovata. Così rimase con noi. La trattammo sempre con molto rispetto: lei e i bambini dormivano nel loro letto, mentre noi ci sistemavamo per la notte come potevamo, anche sul pavimento. Con questa famigliola dividevamo i pasti, mettendo in comune tutto quello che avevamo, da entrambe le parti.
Quando qualcuno di noi leggeva la posta arrivata dall'Italia, lei piangeva e ci diceva che eravamo fortunati ad avere notizie dei nostri familiari, mentre lei erano circa due anni che non aveva notizie del marito, che forse era morto o prigioniero da qualche parte.
Un giorno arrivò nell'isba un russo, e capimmo che era il marito, finalmente ritornato a casa. Potete immaginare la felicità di quella famiglia. Dopo i baci e gli abbracci, marito e moglie parlarono a lungo tra loro, e capimmo che stavano parlando principalmente di noi.
La nostra squadra era comandata da un sergente, ma all'interno dell'isba ero io ad essere considerato il capo. Mentre i due russi parlavano tra di loro, ogni tanto mi additavano. Un mio compagno, un po' preoccupato, mi disse:
«Attento, Bepi, che quell'uomo ce l'ha con te, e magari vuoi farti del male».
Infatti, ad un certo momento, l'uomo si avvicinò a me, ma fu per abbracciarmi e dimostrarmi così la sua gratitudine per l'umanità con cui avevamo trattato i suoi familiari.