Ostolidi Giuseppe - Gruppo Alpini di Spilimbergo "Ten. Vittorio Zatti" - Sezione ANA Pordenone

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Giuseppe OSTOLIDI
Nato a Spilimbergo, classe 1922, arruolato al corso di marconista trasmettitore della Julia a soli 19 anni, può ancora raccontare la sua terribile esperienza: inviato in Russia nel 1942, subì tutte la conseguenze di quella rovinosa campagna.

Nel gennaio del 1943, l'esercito russo sfondò il fronte e iniziò una manovra di accerchiamento. Quando giunse l'ordine di ripiegamento, i russi avevano ormai bloccato la ritirata, e negli scontri successivi Bepi perse il contatto con il suo reparto. Cercando di riunirsi ai compagni, nella ritirata trovò la strada sbarrata dalle truppe russe ben undici volte, e ogni volta, cambiando direzione o sfondando la linea nemica, riuscì a passare, tranne una: sorpreso in un' isba, fu fatto prigioniero da partigiani russi che lo volevano fucilare. Una decina di donne e ragazzi russi, impietositi forse dalla sua giovane età o dalle sue condizioni di salute (mani e piedi semi-congelati), protestarono e gridarono finché i partigiani lo lasciarono andare dicendogli:
"Italiano, va a casa".
Nella marcia di ritorno non c'era tempo per dormire e niente da mangiare. Più di una volta, sfinito dalle fatiche, il desiderio di fermarsi diventava grande. Però con sforzi inimmaginabili proseguì sempre, sapendo che sarebbe stato perduto se fosse rimasto indietro o se si fosse addormentato. In queste condizioni il 26 gennaio arrivò a Nikolajewka , dove i russi con ingenti forze avevano chiuso la sacca. Con il generale Reverberi che incitava i soldati da sopra un carro armato, riuscì ad entrare nel villaggio con i primi, sparando e correndo all'impazzata.
Era stato rotto l' accerchiamento, ma l'odissea continuò per il resto della ritirata. Un tratto di strada lo fece sfruttando un passaggio in moto da un soldato tedesco. Quando continuò a piedi, cadde sulla neve e un autocarro tedesco lo investì ferendolo ad un piede. Alcuni russi anziani lo curarono alla meno peggio e lo accompagnarono su una strada dove passavano camion germanici. Si fece prelevare e raggiunse una stazione ferroviaria. Salì su un treno che trasportava feriti e raggiunse Kiev, dove fu curato . In seguito, passando per vari ospedali (in uno dei quali gli diedero anche l'estrema unzione), finalmente a fine aprile 1943 arrivò a Treviso.

Di questa avventura gli rimane una grande tristezza
per i tanti compagni morti inutilmente
e un ricordo struggente dell'umanità della popolazione russa.  


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